Ma il risparmio non conta pi

bceTra le cause che connotano l’attuale situazione di stallo produttivo e di sfiducia in Europa occorre inserire il comportamento irresponsabile e collusivo delle autorità di Bruxelles e Francoforte nella vicenda greca del marzo 2012. In quella nefasta circostanza si è distrutto un pezzo importante della costruzione europea. Dalla sera alla mattina il governo di Atene ha abbattuto nella misura dell’80% il valore nominale dei titoli emessi dalla Grecia, Stato sovrano che assieme ad altre 16 Nazioni utilizza la moneta comune “Euro” nella quale sono denominati, per l’appunto, i titoli ripudiati. Il tutto con il beneplacito del Parlamento europeo e della BCE. In quell’occasione per i cittadini e per tutti i risparmiatori europei è crollato un pilastro, è svanita una certezza sancita a caratteri cubitali nell’art. 47 della Costituzione italiana: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. …”

Ebbene oggi si prende atto della tragedia dei senza lavoro e delle imprese che sono costrette a chiudere i battenti in tutta Europa. Si favoleggia della possibilità che le banche, utilizzando la leva dei bassi tassi d’interesse, possano e debbano supportare il sistema produttivo. Si sottolinea che una crisi di lunga durata è deleteria e distruttiva per le economie dei Paesi europei. Sono affermazioni di circostanza e di buon effetto che costano poco o niente.

Il risparmio non conta più? A quando l’iniziativa concreta della BCE per riparare il danno accollato ingiustamente, illegalmente ai detentori di titoli della Grecia?

Il consenso e la fiducia si conquistano e consolidano sul campo. I risparmiatori di tutta Europa sono sfiduciati e disorientati. Attendono con impazienza atti concreti di riparazione e, innanzitutto, un pizzico di modestia e la convinta ammissione di errore.
Nell’articolo del Corriere, con riferimento all’intervento del Presidente BCE al parlamento europeo, si legge tra l’altro: “Un aumento dei tassi di interesse danneggerebbe i Paesi più vulnerabili”. Considerazione valida e sensata, questa, in una Unione di Stati coesa e ben strutturata, con testa politica efficiente, autorevole e riconosciuta a livello centrale.

I mercati se ne infischiano dei tassi BCE, più o meno bassi, e ragionano facendo riferimento per le loro negoziazioni ai differenti tassi d’interesse imposti per il finanziamento degli Stati, a copertura dei relativi squilibri di bilancio.
Di fatto la Germania oggi si finanzia a tassi d’interesse vicini allo zero e gli altri Paesi della fascia Sud dell’Europa (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, ecc.) ottengono prestiti a tassi che superano i tre/quattro punti percentuali (spread) rispetto alla stessa Germania e tali maggiori oneri per interessi si scaricano sull’intera economia dei Paesi svantaggiati, ostacolandone il cammino.

Potrà funzionare un’Unione europea che viaggia in maniera asincrona? Un’Unione che non ha la capacità, la forza e la responsabilità di approvvigionarsi di risorse finanziarie a livello centrale (eurobond “a miglior mercato”) e di redistribuire le stesse secondo le necessità dei singoli Paesi finanziati, a condizioni paritarie?
Potrà andare avanti un’Unione europea che si permette il lusso di “restare alla finestra” anzi “di applaudire” quando uno dei suoi Stati azionisti (la Grecia) immagina e realizza di fregare i suoi finanziatori, in particolare i piccoli risparmiatori privati, ripudiando i suoi titoli di Stato emessi in euro e promettendo di pagare un misero 20 per cento delle somme prestate tra venti anni e più?

SANTOLO CANNAVALE

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