…Ahi serva Italia, di dolore ostello, non donna di provincia ma bordello!

dante-serva-italiaMi è sempre piaciuto, da quando ho memoria, trascorrere il pomeriggio al cinema. Da giovane ci andavo a piedi oppure prendevo il bus che da Meta mi avrebbe portato, per la modica somma di 70 lire, proprio danti alle porte del Cinema “Astoria”. Questa era la normalità. Se al cinema ci andava tutta la famiglia, allora, la meta era Sorrento. Il cinema “Armida” mi affascinava, mi attraeva a se con le sue luci, l’androne ampio, la grande vasca con i pesciolini rossi e la fontana, le vetrine espositive delle più note boutique, la buvette, l’alta scalinata che conduceva alla sala di proiezione. Al di là delle massicce porte, ogni volta, si apriva un mondo conosciuto, ma pur sempre nuovo ed affascinante. Le lunghe file di poltroncine imbottite e foderate di tessuto rosso, l’etichette recanti lettere e numeri in ottone, il grande lampadario a soffitto che illuminava la platea. Il cinema era la sede principale degli “Incontri del cinema” che ogni anno rappresentava l’ennesima calamita, stavolta culturale, di un turismo di qualità. Mi sedevo su quella poltroncina cercando il posto più centrale possibile e sprofondando nelle sue imbottiture facevo correre lo sguardo curioso e spaesato lungo le pareti. In alto, su ambedue i lati del grande telone dello schermo, giocando ad indovinare i nomi delle maschere rappresentate, quelle maschere che mi erano state spiegate a scuola. Passavo da Brighella a Colombina, da Gianduia a Balanzone, da Pulcinella a Pantalone. Per quanti sforzi facessi l’occhio tornava sempre e prepotentemente sulla magra figura della maschera multicolore per antonomasia: Arlecchino. Avevo studiato le origine di questo personaggio dal multiforme ingegno e dalle umilissimi origini, dell’amore con cui la di lui madre confezionò il costume raccattando brandelli di tessuto di varia foggia e colore.
Oggi, con gli anni che sono trascorsi e la barba bianca, continuo a professare il mio amore per quella maschera, che veniva dalla lontana lombardia, sana messaggera del diritto di chiunque a divertirsi nonostante il censo e il reddito, e trovo una drammatica e, per certi versi, ilare corrispondenza tra il costume e gli attuali modi di governare e fare politica.
Negli ultimi anni, dando per scontato il principio di onestà e del perseguimento del bene collettivo, ho assistito alla mancanza di una qualche logica, armonicità e visione d’insieme della totalità, o quasi, degli atti legislativi.
Ho constatato quanto il Parlamento, organo legislativo per antonomasia, sia stato svuotato delle sue prerogative a favore della decretazione d’urgenza.
Ho assistito, con disgusto, a provvedimenti spot, senza nè testa nè coda e a manifestazioni di giubilo per il “vuoto torricelliano”.
Ho attraversato il guado del reddito di cittadinanza senza però incontrare navigators o riforma e organizzazione in rete dei centri per l’impiego .
Ho guadato il pantano dei porti chiusi senza che ci sia interrogati nè sulle ragioni del fenomeno migratorio nè su come promuovere l’accoglienza e l’integrazione nè,tanto meno,su chi se ne dovesse far carico.
Novello Icaro mi son bruciato le ali volando contro i decreti sicurezza (come se uno non fosse sufficiente in quanto a disciplina e norme cogendi) quasi a dire: scusate, ci siamo sbagliati e abbiamo dimenticato qualcosa.
Ho tamponato, di proposito, la ostentata supremazia territoriale ed autosufficienza a muoversi in un mondo globalizzato salvo poi chiedere aiuto per incapacità a provvedere da sè.
Mi trovo a vivere e pensare in un Paese in cui la classe politica non è capace di darsi una forma organica, di far passare contenuti intelligibili di procedere alla sistematicità del corpus legislativo ed attuativo mentre si affanna a rincorrere il consenso ad ogni costo incurante delle conseguenze.
Il populismo, così in voga attualmente, è il sintomo di una grave patologia di nanismo politico e civico.
Ieri i politici avevano una visione del futuro, erano la rappresentazione di una classe sociale ed intellettuale, facevano parte di essa, si aggregavano tra simili e perseguivano gli stessi obiettivi strategici; si contrapponevano agli altri, diversi dai simili, per quanto visione del mondo, della economia e dei rapporti internazionali.
Oggi si è passati dal noi all’io, da plurale al singolare. C’è chi chiede urlando i pieni poteri elidendo ed eludendo il confronto. C’è chi, al pari di un bimbo capriccioso e insoddisfatto nelle sue aspettative e pretese, urla, sbraita e invoca la sobillazione delle piazze. C’è chi pensa che il valore e la preparazione non siano valori bastanti perchè il soggetto non “appetibile”alla rete.
L’ignoranza domina perchè la casta dei capienti non è abbastanza proletaria. La massa viene indottrinata i poteri forti, le organizzazioni trans governative, le congiure internazionali solo per nascondere l’incapacità degli egregi (si invita a consultare l’etimologia del termine) capi popolo a dare risposte. Chi, oggi, costituisce la classe dirigente ha buon gioco a creare nemici, reali o fittizi, col solo interesse a consolidare il potere personale altrimenti fondato sulla sabbia.
Ahi serva Italia, di dolore ostello, non donna di provincia ma bordello.

di Vincenzo Romano

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