Lettera aperta alla scrittrice Michela Murgia sulla polemica delle uniformi militari

michela-murgiaGentilissima Sig.na Murgia,
Lei che pratica la comoda professione di scrittrice e che viene indicata, non comprendo a quale titolo, come intellettuale, con le sue ultime esternazioni è venuta meno a quelle basilari regole che stanno alla base della ricerca sia giornalistica che di buon senso: conoscere i fatti, comprenderli e, caso mai dopo, criticarli.
Avere timore di una uniforme, si chiama uniforme il vestiario indossato da appartenenti ad ordini e non divisa, fa sorgere nello scrivente il malsano convincimento che la patente di intellettuale se la sia accaparrata contemporaneamente coll’acquisizione di una tessera di adesione ad un partito politico di determinata area.
Lei è libera di esprimere il suo pensiero perchè “dittatori” in “divisa” garantiscono detta libertà anche se improprio.
Lei è sarda ma della terra di Iknusa ricorda poco e, a tal proposito, mi permetta di rinfrescarle la sua labile memoria: torni indietro alle alluvioni degli anni scorsi e si interroghi chi e come era agghindato colui che è corso in soccorso della popolazione. Erano vigili del fuoco, poliziotti, carabinieri, finanzieri oltre a componenti della protezione civile, infermieri e medici, ma tutti con indosso una uniforme o divisa come lei propugna, diversa e facilmente individuabile.
Non ricorda? Bene, chieda allora alle popolazioni del Veneto, del Friuli, della campania, delle Marche, del Lazio e dell’Umbria se la mano che ha stretto la loro e che con loro ha diviso buio, paure, freddo ed ha dato loro conforto stringeva nell’altra mano una tessera di partito.
Scappa, scappa sbirro maledetto, te la spengo io la fiamma sul berretto.
Sono sicuro che il suo pensiero è in linea, anzi supinamente chino, a tale assunto ed è il succo di una ideologia anarcoide che stride con gli obblighi di sobrietà, onore, obbedienza, spirito di servizio che i ducetti in divisa sono tenuti ad osservare, vincolati da un giuramento senza data di scadenza.
Applichi, per cortesia, la legge delle tre “W” e, se vuole, continui pure a scrivere lasciando libertà ad acquistare o meno i suoi scritti ma la smetta di parlare di argomenti ed ambienti di cui non conosce nulla nemmeno de relato. Distintamente la saluto

di Vincenzo Romano

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